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Spesso veniamo cercati dal diretto interessato, che non sta bene e vorrebbe genericamente vivere meglio; altre volte sono i parenti o gli amici che guidano e consigliano di cominciare l’esperienza; spesso e sempre più di frequente sono le istituzioni che ci cercano per tamponare situazioni sovente ormai del tutto fuori controllo.

In questi casi, e in molti altri che non ho ricordato, cosa fare per riuscire ad essere veramente utili? Sembra strano, ma il meglio è non porsi questo pressante interrogativo. Se invece lo coltiviamo, la portata ansiogena del quesito è destinata solo a rovinare l’immediatezza dell’incontro, quell’incontro di codici che è creato dall’empatia. Empatia controllata e mirata del terapeuta verso un bisogno dell’altro che trova così un varco aperto per esprimersi, finalmente ascoltato!

Il paziente-tipo dello psicoterapeuta è nevrotico, termine questo ben poco indicativo se già lo stesso Freud affermava che l’essere umano di per se stesso, per di più inserito in un contesto sociale, non può essere esente da una qualche sintomatologia nevrotica.

Nei decenni d’esperienza, dal piccolo osservatorio del mio studio, ho visto passare tantissime nevrosi d’ansia, sindromi post-traumatiche da stress, complessi narcisistici e – soprattutto – tanta insicurezza.

Ho volutamente elencato questi disturbi del “male di vivere” in modo impersonale per evidenziarne l’analogia, il filo rosso che percorre i disturbi sopracitati unitamente a perdita di controllo, dipendenze, fino ai blocchi e alle fughe nella psicosi.

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Estratto da
“PSICO-TERAPIA” – Una chiacchierata sul senso – Giulia R. Ibry (2016)