Seleziona una pagina

Parlare di trauma oggi suona come un eufemismo: siamo tutti esposti ad una situazione assolutamente fuori dall’ordinario, che sconvolge in ogni momento la nostre vite.
Esistono poi traumi specifici legati al vissuto individuale, dalla perdita di una persona cara al ribaltamento della condizione economica e alla crisi in famiglia, nella coppia…
Penso sia preciso dovere dell’analista rendersi disponibile a fornire il proprio contributo, sostegno e cura, dove per il post trauma venga richiesta la sua assistenza.
Oggi si tratta di curare un trauma nel trauma poichè – mentre lavoriamo – la guerra a questo mostricino dentato, il Covid-19, continua incessante. Si tratta allora di modulare l’intervento terapeutico.
Infarti improvvisi, morti consumate senza la presenza dei parenti, angosce legate al non respiro, al non controllo, rabbia contro il nemico invisibile, tutto ciò affrontiamo quotidianamente.

Gli occhi si consumano davanti agli schermi, unica situazione sicura per vedere i nostri pazienti.
E se siamo in presenza le maschere coprono e segnano il volto, ma gli occhi si guardano, si cercano, si riconoscono.
Molto si è parlato, anche recentemente, di tecniche che aiutano il superamento della sindrome traumatica facendo riemergere prepotentemente il vissuto, dal profondo, per liberare la persona dalla tenaglia del rimosso.
Comprendo, ma non riesco del tutto a condividere.

Quando subiamo uno shock, forte improvviso paralizzante, interviene il più comune meccanismo di difesa: chiudiamo il dolore insopportabile in un settore segreto e profondo, con lucchetto senza chiave, e copriamo l’accaduto con una nebbia di oblio, di negazione, talvolta di resistenza psicotica rispetto al dato reale, il che fa vivere in una dimensione parallela.
E’ vero: Freud diceva che il rimosso va portato alla luce per liberare ed alleggerire il soggetto sofferente, e la Klein addirittura sostiene l’esigenza di spiegare ai suoi giovanissimi pazienti il valore simbolico dei loro sintomi, perchè se ne possano alleviare, sentendo di averli in controllo per crescere poi meglio ed in modo più coerente.
Ricordiamo però che la difesa ci mantiene in vita, “tenendo insieme i pezzi”, quando il trauma è una deflagrazione dentro di noi, senza nome, senza ragione e senza pace.
La difesa irrazionale, totale, interviene a salvarci: Eros su thanatos.

Siamo organismi viventi e pensanti con una spinta istintiva all’esistere consapevolmente, abbiamo anche grossi limiti insieme alla genuina energia umana che ci spinge sempre ad andare oltre.
Di fronte ad una fine, ad un ostacolo invalicabile, il “sistema” si arresta, tutelando così al meglio la propria integrità.
Ora: chi siamo noi per intervenire su questo meccanismo di compensazione naturale, forzando l’uscita dal rimosso, spostando l’esplosione esterna all’interno con il rischio che l’essenza di chi è sopravvissuto vada in frantumi?
Perchè crediamo di possedere le chiavi che aprono forzieri profondi, soggettivi, che non ci appartengono?
Essere terapeuti non significa essere demiurghi, e il senso di onnipotenza che deriva dalla nostra professione sta – mentre assume la forma di tante tecniche rapide ed efficaci – facendoci cadere in un equivoco serio, dannoso per sé e per gli altri, soprattutto per i nostri assistiti.
Perdiamo l’umiltà del nostro operare quotidiano, e questa forse è pure una difesa.
Dimentichiamo di essere tramite, contenitore empatico, entro cui il paziente colloca traumi ansie sofferenze per trovare con il nostro aiuto quegli strumenti di reazione che lo muovano a vivere meglio, più in contatto con se stesso.
L’ars maieutica è rispetto, silenzio.
I tempi per affrontare il trauma, liberandolo sul piano del reale, sono squisitamente soggettivi ed in quanto tali vanno rispettati, pena un aggravarsi della sofferenza.
Mai come oggi siamo viandanti sulla strada, una via incerta percorsa con il nostro semplice bagaglio.
Chi ci consulta in questi gravi momenti per aiuto ha diritto ad un ascolto rispettoso, consapevole, adeguato ai ritmi e ai tempi delle difese che quest’ultimo ha costruito per sopravvivere all’emergenza.

Giulia Remorino Ibry,
Psicoterapeuta.

Milano, Novembre 2020.