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INERVENTO DI GIULIA REMORINO IBRY AL CONVEGNO PROMOSSO DALL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI LECCO.

Grazie per avermi invitato.

Come terapeuta specializzata in Cultural Adjustment e consulente per il tribunale mi occupo molto spesso di coppie separande o separate i cui coniugi provengono da ambiti culturali, religiosi o geografici diversi.
La priorità è ovviamente cercare di creare spazi di mediazione dove si possono identificare elementi comuni per la formazione di un codice di scambio che permetta di trovare, o ritrovare, punti ed obiettivi comuni. La fondamentale importanza della tutela dei figli può essere un valido strumento per raggiungere questo primo obiettivo. Devo dire che l’alleanza fra avvocato e psicologo aiuta moltissimo nel mandare fin da subito messaggi chiari e coerenti ai due ex-partners, evitando di cadere nella trappola del power game sulla pelle e spesso attraverso la strumentalizzazione dei figli. In questi anni ho visto svilupparsi una normativa completa, rigorosa ed in continuo adeguamento rispetto alle sollecitazioni storiche e sociali. Ci stiamo, seconde me per fortuna, sempre più mescolando e le giovani generazioni escono dai propri paesi d’origine per incontrare realtà nuove e diverse con cui misurarsi. Questo dovrebbe aprire le menti generando una visione del mondo più ricca ed elastica. Non è purtroppo sempre così. Le coppie tipiche di cui mi occupo sono nate quando uno ha conosciuto l’altro durante un’esperienza di studio o lavoro all’estero. Un esempio classico il giovane italiano che s’innamora della ragazza degli States. I linguaggi spesso non si comprendono del tutto, i retaggi culturali non sono considerati, e i due giovani si appassionano nell’avventura della reciproca diversità. Se la giovane moglie segue il marito in Italia il trauma dell’impatto con una diversa concezione di famiglia e di regole di vita si fa presto sentire. Spesso la nascita dei figli crea crepe irreversibili nel rapporto. La suocera italiana è vista come una intrusa giudicante, il marito non è più il ragazzo aperto al nuovo e tollerante, si trasforma nell’alleato della propria famiglia d’origine: un traditore che abbandona la propria compagna all’isolamento e alla discriminazione.
Sembra che io stia descrivendo una situazione stereotipata, eppure in tanti anni ho assistito al perpetuarsi di questo schema.
Anche se le nazioni d’origine sono diverse, si giocano battaglie culturali fatte di atavica ostilità e di pregiudizio, dove inizialmente dominava uno spirito di alleanza nell’entusiasmo della reciproca scoperta. L’educazione dei figli, quale lingua parleranno di più, quale dei paesi d’origine dei genitori verrà visitato più spesso, tutto questo diventa materia del contendere coinvolgendo spesso aspetti economici finalizzati ad essere una costante arma di ricatto per raggiungere lo scopo di una supremazia culturale sull’altro attraverso il figlio.
Come dicevo prima, questo circolo vizioso andrebbe spezzato sul nascere. Per quanto riguarda molte separazioni internazionali che coinvolgono minori, il meglio sarebbe l’introduzione della figura di un mediatore psicologo fin dall’inizio del processo di separazione. Questo servirebbe ad alleggerire i due ex-partners di pesi che risalgono ai primi problemi coniugali: dalla depressione per lo shock culturale e l’isolamento alla rigida affermazione e difesa dei propri modelli culturali e familiari pregressi.
Se si riesce in questa operazione maieutica, poi i problemi contingenti legati alla prole e alla gestione della vita post-coniugale possono essere affrontati con un margine di dialogo diverso. Pregiudizi, complessi, sensi di esclusione o di colpevole minorità sono invece dei veleni che intossicano e spesso rendono impraticabile la
ricerca di uno spazio di scambio comune. Chi si è liberato di veleni antichi accumulati in silenzio diventa meno rancoroso, più aperto al dialogo, e la tolleranza può evitare il continuo richiamo narcisistico sulle proprie esigenze, mostrate come unica via da intraprendere per il cosiddetto bene dei figli.
Se non si riesce ad abbattere questa prima barriera, le difficoltà di comunicazione si accumulano con un effetto valanga, e la valanga si abbatte sui minori coinvolti, bloccandoli e traumatizzandoli ancor più rispetto al periodo in cui la famiglia conflittuale era ancora unita.
Allora una soluzione spesso può essere rappresentata dalle figura del legale che tuteli gli interessi del minore. Questo ruolo, in concomitanza con la figura delle psicologo competente, aiuta a sbloccare situazioni paralizzate da un rispettivo arroccarsi dei coniugi sulle proprie posizioni.
Consideriamo anche che le famiglie sono cambiate molto negli ultimi decenni. Sempre più spesso dopo una separazione si desidera integrare il figlio nella nuova famiglia che si è creata, magari a sua volta frutto di un precedente divorzio con prole. Sono le famose famiglie allargate, che possono includere anche un nuovo partner dello stesso sesso, aprendo quindi a scenari di vita comune nuovi e diversi.
Nella mia esperienza i minori coinvolti in questi radicali cambiamenti li possono affrontare molto bene, con apertura e spirito di arricchimento nelle differenze.
L’importante qui – ancor più che in altre situazioni più classiche – è che venga preservato, in corso di separazione, il rapporto del figlio con entrambi i genitori nella maniera più equa possibile. Tutto questo compatibilmente con le capacità genitoriali e l’attenzione ad eventuali disfunzionalità dei singoli.
Nella mia esperienza spesso anche brevi percorsi di mediazione psicologica fra genitori e figlio possono creare quel tessuto connettivo di fiducia e libero scambio che porta poi il minore ad accettare i nuovi legami sentimentali del padre e della madre con spirito aperto, fino a viverli come una vera e propria educazione alla famiglia in positivo.

Sarebbe interessante esaminare alcuni casi per vedere in modo più diretto certi passaggi.

Una situazione piuttosto peculiare in cui mi sono imbattuta alcuni anni orsono è stata la separazione fra una donna di religione ebraica di origine statunitense ed un uomo cattolico di origine sudamericana.
I due si sono conosciuti in Italia, dove si erano trasferiti per studio e per lavoro. Avendo l’uomo radici familiari italiane, sposandosi hanno deciso di restare in Italia. Prima del matrimonio si erano avute difficoltà nel decidere circa l’educazione religiosa dei futuri figli, poi l’entusiasmo e il desiderio di avviare la convivenza avevano avuto il sopravvento.
Dalla nascita del primo figlio sono esplosi i primi conflitti e la coppia ha vissuto dieci anni ci matrimonio generando in tutto quattro figli. Nonostante il rispetto del reciproco credo e il fatto di vivere in un paese “neutrale” li avessero inizialmente aiutati, il banco di prova del primo figlio già ha creato grosse fratture. Entrambe le famiglie d’origine avversavano la scelta fatta dai giovani che, diventando genitori, non avevano l’aiuto dei propri familiari.
Cominciarono quindi screzi che hanno inasprito il credo di ognuno dei due, trasformandolo in un’arma contro l’altro.
Ai figli venivano impartiti rudimenti di entrambe le religioni senza un’ottica aperta e riformata che creasse analogie e contesti in cui inquadrare i riferimenti.
Piuttosto confusi i bimbi avevano difficoltà a scuola e rifiutavano qualsiasi richiamo a rituali religiosi, sviluppando un senso di rifiuto verso l’autorità e un crescente Attention Deficit Disorder. Nel frattempo la crisi fra i coniugi ha assunto toni sempre più aspri.
L’uomo tendeva a chiedere la sottomissione della donna ai propri modelli di riferimento culturali e la donna si chiudeva nella fede dei padri come in una bolla di protezione.
Quando in diverse occasioni il marito dalle minacce passò alla violenza fisica sulla donna davanti ai figli, lei si decise a trasferirsi da un’amica con i bambini e chiese poi l’assistenza legale per la separazione. Oggi molti nodi della complessa situazione familiare sono stati sciolti. I bimbi hanno ricevuto assistenza psicologica e le famiglie d’origine dei genitori sono state coinvolte, per valorizzare le radici e non vederle come un oggetto del contendere.
Anche in questo caso molto particolare, che estremizza situazioni altre volte affrontate solo in parte, la stretta collaborazione fra la legge e la psicologia ha permesso una adeguata operazione di mediazione culturale in un quadro di grande complessità.
Una situazione psicologicamente rilevante si verifica anche quando nel – passaggio dalla separazione al divorzio – vengono sollevate nuove istanze o si verificano contrasti che spesso sono il frutto di irrisolte questioni legate al pregresso.
Diversi anni fa ho partecipato ad una Consulenza Tecnica decisa dal giudice dopo che l’ex marito, all’atto del divorzio, ha accusato la moglie di avergli alienato i figli ormai adolescenti e di avergli sottratto consistenti quantità di denaro con pretesto di spese per i figli, che vivevano quasi sempre con lei.
L’intervento dell’équipe psicologica, con i relativi approfondimenti testali ed anamnestici, ha permesso di risalire a problematiche relative al primo periodo del rapporto fra gli ex coniugi. La moglie svizzera, figlia dell’agiato imprenditore che ha assunto il genero – più povero e non diplomato – aveva subito ripetuti abusi psicologici dal marito. Lui, affetto da pesanti complessi e in difficoltà con se stesso, accusava la giovane moglie, la quale subiva, sentendosi in colpa per i propri privilegi e desiderosa di aiutare l’uomo che amava. I tre figli nati dal matrimonio portavano i segni della sofferenza e delle insicurezze derivanti dalla violenza psicologica che il padre esercitava sulla madre.
In sede di Ctu i ragazzi hanno potuto esprimere finalmente le proprie difficoltà. Due hanno spontaneamente chiesto di entrare in terapia, uno ha voluto cambiare scuola ed ha per parecchio tempo rifiutato di vedere il padre.
Lo stesso padre ha poi ammesso di aver più volte incolpato la moglie di averlo voluto trattenere in un rapporto troppo stretto e soffocante forzandolo ad accettare un terzo figlio non voluto.
Quando il giudice ha dovuto pronunciarsi in merito al risarcimento economico a favore dell’ex marito e sulla maggiore frequentazione del padre da parte dei figli adolescenti, tenendo conto del risultato della perizia psicologica ha potuto decretare ciò che già la separazione avrebbe potuto vedere. Al padre è stato raccomandato un percorso di cura psicologica e i figli sono stati adeguatamente tutelati verso un recupero post-traumatico in vista dell’età adulta.
Ci sarebbero ancora molti aspetti da considerare pensando alle coppie miste, alla tutela internazionale della donna e dei minori e soprattutto a quanto possano incidere sostanziali differenze culturali, linguistiche e religiose nel rapporto di coppia, nella gestione della prole e nella definizione di scioglimento del legame coniugale.
Oltre all’economico e all’affidamento dei figli, anche la sessualità gioca un ruolo non indifferente. E ogni cultura vede l’intimità seguendo criteri di definizione diversi, che spesso incidono pesantemente sui singoli e sulla coppia.
Da qui sensi di colpa, inasprimento del conflitto, rancori e desiderio di rivalsa, che in ultima analisi colpiscono anche gli eventuali figli rendendoli privi di modelli di identificazione saldi e coerenti. Con il ricorso all’indagine psicologica, alla mediazione e alla terapia possiamo svolgere quell’opera di prevenzione o di ricerca della soluzione dei problemi che si può rivelare preziosa alleata di un sistema normativo in costante evoluzione ed adeguamento.

Grazie.

Dicembre 2021.