Nel mondo di oggi una gran parte della comunicazione avviene per immagini.
Non è poi così sbagliato, visto che il nostro cervello funziona attraverso tracce, percorsi di senso che, quali fotogrammi mentali, creano pensieri, sogni, flussi di ricordo, elaborazioni concettuali etc…
Il mio racconto prende forma da impressioni cioè da ciò che resta impresso, che si stampa nella mente e nell’animo del protagonista mentre percorre le tappe della propria esistenza. Lo spazio, il tempo appaiono dimensioni sospese, perché quello che conta è lui: Osvaldo. Il piccolo protagonista raffigurato lui pure in un fotogramma, una immagine bianco-nera senza data né rimando concreto. Ci accoglie nella storia, quel viso di bimbo un po’ miope, che cerca di guardare il mondo, di capirlo e soprattutto di collocarcisi dentro, senza sapere dove si va, perché si va…..
Per questo il sorriso di Osvaldo è timido, appena accennato, e lo sguardo vaga lontano, non si sa se dentro di sé o fuori, verso di noi.
E ci porta, la sua sensibilità di fotografo di vita, a contemplare il sole che filtra dalle persiane alla mattina, ascoltando suoni, annusando l’aria fresca dell’inizio di un giorno. Andiamo con lui a scoprire, a subire le emozioni e le impressioni di una realtà che sembra non appartenergli, da esplorare attraverso incontri con presenze che appaiono sullo sfondo della narrazione come oggetti d’esperienza, diventando veri solo nel mondo interno del ragazzino Osvi.
E’ probabilmente il mio lavoro che mi ha suggerito di fotografare, con parole ed immagini, i brandelli d’esistenza che spesso i pazienti mi portano in terapia.
Il tentativo è quello di portare un po’ di ordine nel caos di fotogrammi facilmente privi di senso e coerenza.
E anche quando i piani del narrare si sovrappongono, e il racconto si muove alla ricerca di se stesso, dal dialogo interiore a scenari di passato e presente che si intrecciano, anche allora la vicenda umana del nostro protagonista ci guida per la strada maestra dell’emozione, dell’empatia, dello spazio condiviso.
Osvaldo tante volte appare freddo, passivo, in distanza rispetto agli imperativi vitali fondamentali.
Ci accorgiamo che non è così, poiché questo neofita del mestiere di vivere si sta solo difendendo.
I dolori, gli abbandoni sono precoci e restano cocenti se non si pone una barriera fra sé e il mondo. Lo sguardo registra fuori campo, e dal campo lungo del regista-protagonista sappiamo quanto egli subisce, quanto sogna, se fugge o se crede di aver smesso con le illusioni.
Osvaldo annota sensazioni e se ne fa depositario, chi scrive le registra per sé e per i futuri lettori, chi entra nella scena, nello spazio mentale di Osvaldo sperimenta l’impressione attraverso cui leggere forse un po’ meglio i frammenti della propria stessa esistenza.
Nella mia professione di psicoterapeuta considero le immagini mentali che il paziente mi porta in seduta come un materiale prezioso per l’analisi del Sé.
Vi sono rappresentazioni oniriche, dove l’inconscio esprime in modo simbolico alcuni tratti profondi del carattere della persona, oppure anche immagini legate a ricordi, memorie fotografiche di un passato tutto da esplorare per conoscersi meglio e comprendere le radici dell’Essere.
Anche nel mio racconto ho voluto quindi inserire vere e proprie visuali significative, che ci parlano di Osvaldo e del suo mondo interno attraverso l’immediatezza del sogno.
Da tavole grafiche a disegni bianco/neri giocati sui contrasti; da cartoline a collage e dipinti dove il colore evoca e il tratto disegna profili ed ombre, tratteggia pensieri.
Nel testo ai brevi capitoli di questa “fiaba per adulti” corrispondono puntuali le illustrazioni, per sottolineare come – senza fotogrammi mentali – non ci sarebbe quella capacità di pensiero che ci rende consapevoli di esistere e che ci dà un senso.
E il significato del suo “stare nel mondo” il protagonista – cresciuto – lo scoprirà verso la fine della narrazione.
Sarà ancora una volta esperienza attraversata quasi da “outsider” , da spettatore della propria vita.
Eppure sensazioni ed emozioni ci raggiungono in uno scenario fra sogno e realtà, da fiaba appunto, ma vera e possibile nella propria semplice umanità. Forse qualcosa di Osvaldo, dei dubbi della sua tormentata crescita, della solitudine irredimibile che a tratti lo soverchia, di quell’andare oltre fra il rassegnato e il curioso, qualcosa dell’animo di Osvi è in ognuno di noi. Penso sia per questo che, mentre scrivevo l’ultima parte del racconto ho dovuto fermarmi spesso, commossa.
La fusionalità autore-personaggio è tipica di ogni storia fin dal principio del narrare; confesso la mia simpatia-empatia verso il giovane Osvi fin da quando ho seguito il suo risveglio – bambino – nella casa davanti al mare.
Ho guardato intorno e verso la vita con i suoi occhi per regalare questa esperienza visivo-introspettiva al lettore.
Il testo si conclude con una istantanea a colori.
Quando, dove?
Il ragazzino che ci saluta dalla fotografia compie un gesto scherzoso, quasi giocasse a dirigere il traffico oppure indicasse qualcosa.
Le sue mani sono state tagliate nell’inquadratura, ad accrescere la sensazione di un messaggio irrisolto, sospeso – come ogni vita umana – all’imponderabile.
Forse “Fotogrammi” è destinato a continuare………..
Giulia Remorino Ibry
Milano, Ottobre 2016.